Lo sviluppo del Sé e della coscienza come costrutto relazionale sarà il tema del Congresso “Attaccamento e Trauma”. Le esperienze di sviluppo caratterizzate da accudimento e sintonizzazione insufficienti, o da abuso nella relazione con il caregiver, possono determinare una frammentazione del Sé nel suo senso di continuità e coerenza interna.
La coscienza dell’essere umano si struttura all’interno di una dimensione intersoggettiva caratterizzata da continue esperienze di rispecchiamento con l’altro. Il mancato rispecchiamento può determinare sintomatologie dissociative del Sé, che possono essere anche estremamente rigide in presenza di traumi complessi. Gli interventi dei relatori approfondiranno la complessità degli aspetti legati allo sviluppo della coscienza, anche tramite lo studio del cervello come punto di partenza per una comprensione profonda dell’interazione umana, in una visione che superi la distinzione tra processi top-down e bottom-up, e che guardi alla dimensione sociale in una modalità integrata più complessa e più evoluta. Verranno inoltre messe in luce le opportunità terapeutiche più efficaci per strutturare un intervento integrativo tramite aspetti specifici della relazione terapeutica, vista come occasione di riparazione alla frammentazione del Sé, in cui entrambi gli attori possono sperimentare un coinvolgimento protetto e non pericoloso.
Verranno proposti metodi di intervento per il trattamento di traumi complessi e per prevenire gli effetti della trasmissione intergenerazionale del trauma. Sarà un’occasione per analizzare nuove prospettive di intervento – come la terapia di fronte allo specchio – o allargare il focus al livello della prosodia e dell’utilizzo della musica e della voce in psicoterapia come modalità di intervento in grado di attivare il sistema di coinvolgimento sociale del paziente.
Traumi semantici dell’attaccamento e costruzione narrativa del Sé.
Una grave disregolazione dei sistemi di difesa arcaici, caratterizzata dalla cronica attivazione dei meccanismi di allarme, può essere generata dalla simultanea attivazione dei Sistemi Motivazionali Interpersonali (SMI) dell’accudimento, del rango e della sessualità sociale da parte di figure di attaccamento percepite dal bambino come sorgente di pericolo e minaccia, invece che di sicurezza e di benessere relazionale. Tali esperienze interpersonali traumatiche, sovente precoci nella storia di sviluppo, possono essere integrate solo parzialmente nel sistema corpo/sentimenti/memoria/coscienza e generano gravi interferenze con l’organizzazione dell’attaccamento, con la strutturazione dei modelli operativi interni, con la maturazione dei meccanismi di regolazione delle risposte emotive e con l’acquisizione delle competenze metacognitive. Il cervello, costretto ad operare in condizioni così estreme, manifesta sovente patologie dissociative e costruisce strategie controlling per gestire le relazioni interpersonali attraverso un uso compulsivo e improprio dell’accudimento, del rango e della sessualità. Nel medesimo tempo, appena superata la fase acuta di troncoencefalizzazione delle risposte neurovegetative e comportamentali (attacco, fuga, freezing, fanting), la componente autobiografica della coscienza è biologicamente spinta a costruire un senso e un significato anche per le esperienze frammentate, confuse e angoscianti connesse alle memorie traumatiche, e non può fare a meno di generare intorno ad esse -e alle strategie controllanti- una parte della narrazione dalla quale emerge e prende forma l’dea di Sé. In questo modo, il Trauma Relazionale Complesso assume le caratteristiche del Trauma Semantico, che caratterizza l’identità personale e diventa ontologicamente connotativo del Sé – attraverso l’uso di assunti radicali e inconfutabili su alcune proprietà essenziali dell’individuo. Il tentativo di generare una narrativa personale coesa, coerente e continuativa, viene paralizzato, disorganizzato sintatticamente, svuotato di contenuti coerenti, compartimentato, reso impotente e caotico nell’atto di generare accordi tra le parti di Sé. La non amabilità, l’assenza di valore personale, il senso di impotenza, il pervasivo sentimento di vergogna, il senso di vuoto, l’inconsistenza dell’essere se stessi, la mancanza di libertà interiore, diventano i nuclei semantici prevalenti intorno ai quali si sviluppa la narrazione della propria storia relazionale traumatizzata. Tali nuclei semantici drammaticamente sofferenti e le parti dissociate del Sé che li portano in scena, creano continue, pericolose occasioni di ri-traumatizzazione e attivano meccanismi ricorsivi di disregolazione emotiva, di dissociazione della coscienza, di riemergenza improvvisa di frammenti delle memorie traumatiche. In numerosi casi, dunque, non si può limitare il piano di cura alla regolazione dei meccanismi somatici, relazionali, emozionali e metacognitivi disfunzionali né alla sola riattivazione dei meccanismi autoriparativi del cervello. Una volta stabilizzato il paziente e consolidata l’alleanza terapeutica, è sovente necessario includere nella terapia dei traumi dell’attaccamento un trattamento narrativo volto al lavoro con le parti, fortemente connotato sul versante semantico, condotto anche attraverso vie d’accesso relazionali e sensomotorie.
Bibliografia:
Damasio A., Lo strano ordine delle cose, Adelphi, Milano, 2018.
Di Fini G and Veglia F (2019) Life Themes and Attachment System in the Narrative Self-Construction: Direct and Indirect Indicators. In “Front. Psychol”,10:1393. doi: 10.3389/fpsyg.2019.01393
Liotti G., Farina B., Sviluppi traumatici: eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa, Rafaello Cortina Editore, Milano, 2011.
Panksepp J., Biven L., Archeologia della mente, Rafaello Cortina Editore, Milano, 2014.
Porges S. W., La teoria polivagale. Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2014.
Veglia F., Di Fini G., Life Themes and Interpersonal Motivational Systems in the Narrative Self-construction. in “Frontiers in psychology”, 8, pp. 1897, 2017.
Il trauma complesso, la sua storia e il suo trattamento: il meta-modello PRISM
Dalla loro introduzione, nei primi anni Novanta, dei termini “trauma complesso” e della diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso (CPTSD), questi sono stati oggetto di varie controversie. Recentemente, invece, un numero sempre crescente di esperti concorda sul fatto che forme di attaccamento precoci ripetitive e imprigionanti, nonché altre forme di trauma cronico interpersonale, possono avere spesso effetti molteplici, stratificati e interconnessi che orientano e subiscono l’infuenza dei processi di maturazione. Tali effetti interferiscono con lo sviluppo personale, in molti ambiti diversi, del bambino traumatizzato e possono durare letteralmente una vita intera; possono inoltre causare una regressione evolutiva negli adulti.
A partire dagli anni Novanta, tali effetti postumi sono stati oggetto di un gran numero di studi che hanno portato a una conoscenza molto più sofisticata dell’argomento, con applicazioni relative a una vasta gamma di ambiti, tra cui gli studi evolutivi, quelli sull’attaccamento, gli studi sulle emozioni e le neuroscienze. Al contempo, per dirla con le parole di Judith Herman, il campo della ricerca sul trauma complesso è stato oggetto di una “fiorente innovazione clinica” che ha portato allo sviluppo di nuovi approcci e a un’ampia gamma di opzioni di trattamento applicabili alla risoluzione del trauma. Esistono oggigiorno vari approcci evidence-based a breve termine, la cui efficacia nel trattamento dei sintomi post-traumatici è stata comprovata dalla ricerca scientifica. Tali risultati hanno portato alcuni ricercatori e clinici a considerare i suddetti trattamenti applicabili a qualsiasi individuo traumatizzato, a prescindere dallo status clinico. Tuttavia, i professionisti della salute mentale specializzati nel trattamento del trauma complesso e della dissociazione hanno messo in discussione, sotto diversi aspetti, l’applicabilità universale di simili trattamenti, schierandosi a favore di approcci più sequenziali, con più sfumature, che si spingano oltre i meri sintomi posttraumatici e consentano di lavorare sui disturbi del Sé, sulle relazioni con gli altri, nonché sulle varie comorbidità spesso causate dal trauma complesso. Questo intervento si focalizzerà su tre aree principali: L’evoluzione storica della concettualizzazione del Trauma Complesso/Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso (CPTSD) e le resistenze opposte nel settore della ricerca sullo stress traumatico, come evidenziato dalla scelta di non includerla come diagnosi indipendente all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico (DSM) né all’interno delle linee guida relative alla pratica clinica. I criteri relativi al PTSD “classico” derivano dagli studi sui traumi provocati dalla guerra e sulle reazioni post-traumatiche manifestate nella tarda adolescenza o all’inizio dell’età adulta, prevalentemente in soggetti di sesso maschile. Al contrario, i criteri relativi al PTSD Complesso derivano da studi sul trauma infantile, la violenza domestica e altre forme ripetitive e imprigionanti di trauma, ambiti che interessano più spesso – ma non esclusivamente – i soggetti di sesso femminile. Sono state identificate, inoltre, differenze significative tra le due popolazioni cliniche: mentre i bambini traumatizzati mostrano chiari sintomi post-traumatici, questi si manifestano in modo diverso negli adulti, a causa dell’età e dello stadio specifico del disturbo. Se il trauma avviene nel corso dello sviluppo del bambino, questo incide, compromette e si interseca col processo di sviluppo, portando all’insorgere di pattern sintomatici piuttosto diversi rispetto a quelli relativi al PTSD classico. Queste differenze sono state codificate di recente, grazie all’inserimento del PTSD Complesso – in qualità di diagnosi indipendente ma “imparentata” a quella del PTSD tradizionale – all’interno dell’undicesima Classificazione Internazionale delle Patologie (International Classification of Diseases-11). Questa diagnosi, basata sui risultati di ricerca relativi a varie classi di effetti postumi evidenzia, nello specifico, i Disturbi di Organizzazione del Sé (Disorders of Self-Organization o DSO), ritenuti i sintomi più profondi del PTSD complesso. Tali disturbi sono stati identificati anche come criteri alla base della diagnosi di Disturbo da Trauma dello Sviluppo, diagnosi proposta ma non ancora accettata. Gli effetti postumi identificati dalla diagnosi di PTSD Complesso e dalla concettualizzazione di Disturbo da Trauma dello Sviluppo. La complessità e le origini molteplici, stratificate e interconnesse – sia a livello fsiologico che psicologico – di tali effetti, che si manifestano nel corso del tempo in varie forme, comprese le risposte dissociative, saranno oggetto di un’analisi approfondita. I sintomi saranno analizzati in quanto sforzi compiuti dall’individuo per adattarsi al trauma che, nel corso del tempo, divengono maladattivi qualora utilizzati al di fuori del contesto originale. Sarà presentata, inoltre, una possibile interpretazione dei sintomi come “elaborazioni secondarie degli effetti originali non trattati [e spesso non riconosciuti] del trauma” (Gelinas), in relazione alle patologie e alle diagnosi di salute mentale spesso concomitanti. Tutti questi aspetti saranno ulteriormente analizzati in funzione della teoria della complessità, in modo da aiutare i clinici a comprendere in modo più approfondito la vasta gamma di sintomi presentati dai pazienti. Lo sviluppo di modelli di trattamento adatti ai disturbi da Stress Post-Traumatico Complessi, in grado di intervenire sulle loro molteplici manifestazioni. In seguito alla pubblicazione della versione aggiornata del libro sul trattamento del trauma complesso, Christine ha messo a punto, insieme a Julian Ford, un meta-modello di trattamento e delle linee guida finalizzate ad aiutare i clinici a gestire quello che potrebbe rivelarsi uno dei processi di trattamento più complessi e meno chiari in assoluto. L’acronimo di tale modello è PRISM: Personalizzato, Integrativo, Sequenziale, Relazionale e Multi-componente. Ognuna di queste caratteristiche sarà presentata in dettaglio, insieme al proprio fondamento logico e ai diversi sotto-componenti. Al termine di questo intervento, i partecipanti saranno in grado di riconoscere in che modo i diversi modelli di trattamento presentati durante il Congresso “Attaccamento e Trauma” sono in linea con questo meta-modello.
Il trauma complesso dell’attaccamento incontra il Riconsolidamento della Memoria: facilitare il processo neurale di disapprendimento per dar vita ad un cambiamento trasformativo.
Nel corso dell’intervento verranno mostrati video di sedute terapeutiche che rivelano come gli apprendimenti emotivi derivati da un grave trauma dell’attaccamento possono essere profondamente disappresi tramite il riconsolidamento della memoria, con la cancellazione completa sia dei sintomi post-traumatici estremi sia della riattivazione dei ricordi traumatici che ne sta alla base – un cambiamento trasformativo. Il riconsolidamento amnesico è un processo cerebrale innato che consiste nella correzione diretta, a livello di codifica neurale, degli apprendimenti esistenti. Da oltre due decenni, i neuroscienziati indagano il funzionamento di questo processo di cambiamento neurologico guidato dall’esperienza. Dal 2006 Bruce Ecker è impegnato principalmente a tradurre in metodologia terapeutica questi risultati della ricerca. I partecipanti acquisiranno una mappa chiara delle fasi del processo necessarie per indurre il riconsolidamento e il cambiamento trasformativo a livello cerebrale, e anche una vivida dimostrazione delle stesse fasi applicate a casi di grave trauma complesso all’interno delle relazioni di attaccamento. Emergeranno con evidenza sia la profondità emotiva sia la qualità empatica dell’intervento di facilitazione. Inoltre, si chiarirà la differenza fondamentale tra cambiamento trasformativo, che elimina l’esistenza stessa dell’apprendimento target e la possibilità di un suo riemergere, e il cambiamento contro-attivo, con cui si sviluppano risorse positive che competono con l’apprendimento target ma senza effettivamente sostituirsi a esso e consentendo, dunque, eventuali ricadute. La metodologia terapeutica del Riconsolidamento si basa interamente su una conoscenza empirica, transteoretica, del processo neurale del Disapprendimento. I passi principali sono definiti in termini di esperienze interne, non di procedure esterne, in modo che i terapeuti siano liberi di utilizzare qualsiasi tecnica esperienziale adatta a facilitare il processo. Tali passi sono ad esempio stati rilevati in casi clinici pubblicati di cambiamento trasformativo in cui erano stati impiegati diversi sistemi psicoterapeutici, il ché suggerisce che si possa trattare di fattori universali comuni che possono fungere da cornice per l’integrazione delle psicoterapie. Questo processo rappresenta una conferma significativa e un perfezionamento del paradigma delle esperienze correttive, e una seria sfida alla teoria dei fattori comuni non-specifici.
Sistema chiuso, attaccamento e dissociazione.
Ronald Fairbairn considerava il sistema chiuso del mondo interiore del paziente come la principale fonte di tutte le resistenze; al riguardo scriveva: “aprire degli spiragli all’interno del sistema chiuso che costituisce il mondo interiore del paziente – e quindi renderlo accessibile all’infuenza della realtà esteriore – diventa obiettivo del trattamento psicoanalitico” (1958, pag. 84). La diade psicoterapeuta-paziente, esattamente come quella madre-infante e le diadi presenti in altre relazioni intime, è idealmente caratterizzata da una regolazione reciproca e dovrebbe costituire un sistema aperto. Un sistema aperto presuppone, infatti, un’interazione con la realtà esteriore, di cui subisce l’infuenza. Tuttavia, nelle storie di attaccamento traumatico, in cui la figura di attaccamento non riesce ad offrire uno scudo protettivo contro i pericoli o le minacce percepite, oppure costituisce essa stessa una fonte di pericolo o minaccia, il sistema di attaccamento dell’individuo subisce distorsioni considerevoli; questo fa sì che il Sé diventi sempre più auto-suficiente (paradossalmente, proprio per mantenere un legame affettivo con la figura di attaccamento). In presenza di emozioni travolgenti e in assenza di una fonte esterna di supporto sicuro, la psiche diventa, per necessità, sempre più auto-referenziale e chiusa. Di conseguenza, l’individuo diventa intensamente iper-vigile rispetto al duplice pericolo innescato dalle minacce esterne e dal senso di soprafazione interno. Questo significa che l’autoregolazione – e in particolare la regolazione affettiva – diventa un problema. Nell’ambito della psicopatologia dissociativa, la reciprocità delle relazioni, sia interpersonali che intrapersonali, si riduce in modo considerevole. Il sistema chiuso preclude dunque l’intersoggettività interpersonale, nonché il riconoscimento reciproco degli altri, separati dall’individuo e contraddistinti da esperienze proprie, oltre che da un proprio senso di agenzia.
Come migliorare il rapporto con il Sé e con gli altri, portando alla consapevolezza i traumi irrisolti ed utilizzando strategie pratiche di efficacia dimostrata con cui creare un ambiente sicuro e potenziante che consenta una guarigione permanente.
Il problema maggiore dei sopravvissuti a un trauma infantile è l’incapacità di riconoscere i fattori scatenanti (trigger) derivati dall’esperienza traumatica e il non sapere come rilasciarli per poter de-attivare la risposta di attacco, fuga o congelamento, risposta automatica che per i sopravvissuti a un trauma rappresenta una delle più importanti cause di problemi comportamentali ed emotivi.
Gli esperti del settore affermano che la guarigione deve provenire dall’emisfero dominante destro, dal Sé inconscio. Il modello HFL ha successo perché accede in sicurezza al Sé inconscio per liberare le emozioni soppresse all’epoca dell’evento traumatico. Il rilascio del trauma permette ai clienti di sviluppare un nuovo Sé, libero dai vincoli del trauma. Il modello riconosce l’importanza che siano gli stessi clienti a guidare e controllare tutti i processi del trattamento. Il modello è unico, in quanto sviluppato da sopravvissuti a un trauma, con la loro conoscenza interiore ed esperienza personale, e integrato con le scoperte delle neuroscienze. Negli oltre vent’anni cdi pratica è stato perfezionato inglobando le esperienze e i riscontri di altri sopravvissuti a traumi infantili. Nel modello HFL i partecipanti sono in grado di riconoscere di possedere le conoscenze e la capacità per guarire; il modello promuove infatti autonomia e auto-efficacia e rende i partecipanti capaci di osservare con una nuova coscienza il rapporto con sé stessi e con gli altri. I partecipanti sono poi supportati da terapeuti che hanno vissuto in prima persona lo stesso processo di guarigione: si tratta di persone altamente preparate e supervisionate per fornire psicoeducazione e supporto terapeutico. Nel corso della presentazione, pratica ed esperienziale, una sopravvissuta offrirà la sua prospettiva su un trattamento efficace del trauma complesso, includendo un video di presentazione per rafforzare l’utilizzo di questo programma – centrato sul cliente e sviluppato da pari – nella professione privata. In questo modo i partecipanti al Congresso potranno ampliare le modalità terapeutiche e supportare con maggior efficacia e sicurezza i clienti vittime di traumi infantili nel loro viaggio verso la guarigione.
Il Trauma Insidioso e le Relazioni affettive.
L’espressione “trauma insidioso” (insidious trauma) fa riferimento a tutti quegli episodi della vita quotidiana riconducibili a marginalizzazione, oggettificazione, disumanizzazione e intimidazione vissuti da soggetti appartenenti a gruppi colpiti da forme di oppressione relativi a razzismo, discriminazioni basate sull’età, sul sesso e altro ancora. Nell’ambito della propria attività clinica, i terapeuti si trovano dinnanzi a svariate forme di sofferenza (sintomi), spesso attribuite erroneamente a fattori interni. Nella maggior parte dei casi, infatti, il trauma insidioso non viene riconosciuto, né espresso adeguatamente, rimanendo per lo più invisibile. Durante questo intervento, il trauma insidioso sarà oggetto di un’analisi approfondita, con particolare attenzione ai diversi effetti sulle relazioni affettive. In particolare, l’analisi delle dinamiche specifiche relative all’eteroflia e all’omofobia presenti all’interno della società, nonché della loro trasmissione attraverso la relazione padre-figlio, fungerà da esempio per descrivere in che modo il trauma insidioso viene “messo in scena” e ri-vissuto all’interno delle relazioni affettive. Saranno per concludere illustrate le principali implicazioni cliniche relative al trattamento terapeutico di questa tipologia di trauma e dei suoi effetti.
La Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR) e l’attaccamento traumatico.
La terapia EMDR è un approccio terapeutico evidence-based per il trattamento del trauma. Secondo il modello di elaborazione adattiva dell’informazione, che guida l’approccio EMDR, i sintomi presentati dal cliente hanno origine da esperienze dolorose che vengono immagazzinate, in modo maladattivo, nel cervello, senza che siano state pienamente elaborate e integrate all’interno della rete più ampia della memoria (Shapiro, 1995, 2001, 2018).
La terapia EMDR è un metodo suddiviso in otto fasi che implica l’elaborazione dei ricordi del passato all’origine dei problemi manifestati nel presente, nonché dei trigger che attivano il cliente nel presente; questo metodo implica, inoltre, la creazione di un modello futuro (o template) di comportamento adattivo. L’EMDR può essere utilizzata non soltanto per trattare i traumi più gravi, ma anche per trattare quei ricordi onnipresenti “apparentemente piccoli” ma piuttosto impattanti (per es. lo sguardo arrabbiato di una madre, la richiesta di aiuto ignorata da un padre). Questi ricordi sono alla base di svariate credenze negative: “non sono abbastanza”, “non merito di essere amato/a”, “sono impotente” o “non sono al sicuro” sono soltanto alcuni esempi. L’attaccamento disorganizzato ha luogo quando il caregiver è sia una fonte di sicurezza che di terrore; questa forma di attaccamento è all’origine del PTSD Complesso e dei disturbi dissociativi (Brown and Elliot, 2018). Il trauma (l’abuso o la trascuratezza subiti) non è l’unico aspetto da considerare: anche l’attaccamento traumatico nei confronti della figura abusante deve essere adeguatamente trattato. L’EMDR può essere infatti utilizzata sia per il trattamento del trauma che per quello dell’attaccamento traumatico. Questa presentazione illustrerà i principi di base della terapia EMDR e analizzerà il trattamento terapeutico dell’attaccamento traumatico nei clienti che hanno vissuto abusi sessuali. I principi di trattamento verranno illustrati, inoltre, attraverso specifici filmati clinici.
Il ruolo delle sensazioni corporee nel trattamento dei clienti dissociativi: rischi e benefici.
Durante la presentazione saranno illustrate una serie di strategie volte ad aiutare i clienti dissociativi a fidarsi maggiormente delle proprie sensazioni corporee, intese come fonte di conoscenza di sé e di cambiamento. Oltre ad analizzare la fobia nei confronti del corpo, la Dott.ssa Ogden descriverà svariati interventi finalizzati a sostenere i clienti nel superare questa fobia. Gli argomenti trattati includeranno: i rischi e i benefici del lavoro terapeutico con le sensazioni corporee; gli interventi da utilizzare quando i clienti finiscono per essere disregolati dalle proprie sensazioni; suggerimenti pratici per aiutare i clienti a “fare amicizia” con le proprie sensazioni corporee e a mitigare l’evitamento dell’esperienza somatica. Pat Ogden analizzerà, inoltre, i rischi intrinseci e le sfide poste dal lavoro terapeutico con l’emozione positiva e i “buoni” ricordi, soffermandosi su cosa fare quando queste esperienze agiscono da trigger sul cliente. Un altro aspetto esaminato durante l’intervento sarà il potente impatto dell’utilizzo del self-touch da parte del cliente: a questo proposito, sarà evidenziato il potenziale di questa tecnica sia in termini di outcome positivo che in quanto strumento utile per ridurre la disregolazione e le esperienze rivissute (il fenomeno del re-experiencing). I partecipanti impareranno come utilizzare le emozioni positive e il self-touch per modificare le tendenze procedurali del corpo e favorire l’integrazione delle diverse parti del Sé del cliente.
Mindful Interbeing Mirror Therapy: oltre il superamento del Trauma.
Il paradigma Still Face e il meccanismo dei Neuroni Specchio rappresentano due dei principi cardine alla base della MIMT, poiché hanno dato risalto in modo scientifico alla dimensione relazionale intrinseca nel processo di costruzione del Sé e di attribuzione di significato esistenziale propri di ogni essere umano. L’utilizzo dello specchio in psicoterapia permette di esplorare da subito la relazione del soggetto con il proprio Sé, oggettivando la concezione del Sé come Altro con cui interagire. Questo permette di sperimentare la dimensione intersoggettiva dell’essere umano in una modalità nuova in cui i processi di cambiamento risultano accelerati. La MIMT permette di utilizzare in modo mirato e consapevole l’attivazione di circuiti neurobiologici connessi al riconoscimento del proprio volto e delle emozioni connesse alle espressioni facciali, al servizio della psicoterapia, intesa come processo di ricostruzione del Sé. Obiettivo terapeutico è ristabilire un senso di connessione e profonda appartenenza alla propria immagine rifessa, in cui il paziente possa sperimentare quella self compassion che si pone agli antipodi rispetto al disgusto e alla vergogna di sé tipici dei soggetti traumatizzati.
Mindful Interbeing Mirror Therapy: oltre il superamento del Trauma.
Il paradigma Still Face e il meccanismo dei Neuroni Specchio rappresentano due dei principi cardine alla base della MIMT, poiché hanno dato risalto in modo scientifico alla dimensione relazionale intrinseca nel processo di costruzione del Sé e di attribuzione di significato esistenziale propri di ogni essere umano. L’utilizzo dello specchio in psicoterapia permette di esplorare da subito la relazione del soggetto con il proprio Sé, oggettivando la concezione del Sé come Altro con cui interagire. Questo permette di sperimentare la dimensione intersoggettiva dell’essere umano in una modalità nuova in cui i processi di cambiamento risultano accelerati. La MIMT permette di utilizzare in modo mirato e consapevole l’attivazione di circuiti neurobiologici connessi al riconoscimento del proprio volto e delle emozioni connesse alle espressioni facciali, al servizio della psicoterapia, intesa come processo di ricostruzione del Sé. Obiettivo terapeutico è ristabilire un senso di connessione e profonda appartenenza alla propria immagine rifessa, in cui il paziente possa sperimentare quella self compassion che si pone agli antipodi rispetto al disgusto e alla vergogna di sé tipici dei soggetti traumatizzati.
Il ruolo deel core self neurobiologico e del suo felt sense nel trattamento del trauma e della dissociazione.
Diana Fosha, PhD, incentrerà la sua presentazione sul monitoraggio diadico, momento per momento, del felt sense – ossia la “sensazione sentita” – del Core Self neurobiologico nell’ambito del trattamento del trauma e della dissociazione. Attingendo alla ricerca sulla neuroplasticità, alle neuroscienze affettive, alla teoria dell’attaccamento, agli studi evolutivi relativi alle interazioni caregiver-neonato, nonché a quelli trasformativi, Diana ha sviluppato la AEDP, la cui pratica clinica è essenzialmente esperienziale, diadica e orientata alla guarigione. Questa presentazione vi mostrerà come utilizzare, in ambito clinico, l’importante costrutto del Core Self neurobiologico, introdotto da Jaak Panksepp e Antonio Damasio. L’utilizzo di filmati illustreranno con chiarezza il lavoro clinico, di natura esperienziale, condotto dal terapeuta ai margini superiori della finestra di tolleranza del paziente, finalizzato ad amplificarne le capacità relazionali, emotive, ricettive e affettive. L’intervento di Diana si focalizzerà principalmente sulle tecniche basate su affermazione e riconoscimento attraverso l’utilizzo del Sé affettivo del terapeuta. Il lavoro clinico illustrerà, inoltre, il monitoraggio -momento per momento- guidato dal concetto di Core Self neurobiologico formulato da Jaak Panksepp. In particolare, il manifestarsi del Core Self neurobiologico in un paziente con un Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso sarà monitorato dal primo momento della prima seduta fino al termine del trattamento. La presentazione includerà videoregistrazioni cliniche.
La cura del Sé traumatizzato: come gestire situazioni cliniche complesse nel trattamento del trauma.
Nel corso dell’intervento parleremo delle situazioni cliniche complesse che si presentano regolarmente nel trattamento del trauma. Si discuterà degli interventi terapeutici integrativi finalizzati al ripristino del Sé attraverso la risoluzione dei sintomi principali, che includono: fashback dissociativi, immobilità tonica, allucinazioni uditive (“sentire le voci”) associate al fenomeno dissociativo, esperienze extra-corporee, frammentazione del Sé, auto-mutilazione, disregolazione affettiva (stati emotivi ad elevata intensità, intolleranza agli stati affettivi positivi, ottundimento emotivo). Inoltre, si illustreranno gli approcci terapeutici incentrati sul ristabilimento del funzionamento interpersonale e sulla prevenzione della trasmissione intergenerazionale del trauma. Nel corso dell’intervento, si ricorrerà a esempi di casi clinici e si discuterà delle strategie di trattamento basate sulla neurobiologia. Esploreremo anche i recenti progressi della ricerca, in particolare nell’ambito della neurobiologia dello stress traumatico e del suo trattamento.
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