La natura intersoggettiva degli esseri umani si sviluppa subito dopo la nascita e rappresenta uno dei principi cardine della nostra capacità di creazione di signifcato. Sin da quando veniamo al mondo, infatti, la relazionalità svolge un ruolo chiave nella nostra esistenza: la capacità del neonato di imitare le espressioni facciali del caregiver non soltanto garantisce la sua sopravvivenza, ma gli consente anche di interagire con quest’ultimo in modo sincronizzato, dando luogo a scambi relazionali sempre più complessi, essenziali per lo sviluppo psicobiologico del bambino. La scoperta dei neuroni specchio ha oferto un fondamento neurofsiologico di primaria importanza al celebre paradigma del volto immobile o Still Face, apportando un contributo sostanziale alla ricerca scientifca in questo ambito. Come può, dunque, la Psicoterapia servirsi di queste preziose conoscenze per promuovere il benessere individuale? Il Congresso “Paradigma Still-Face e Neuroni Specchio: la Neuroscienza della Psicoterapia” darà l’opportunità ad alcuni dei maggiori Esperti del settore di rispondere a questa domanda. L’evento vedrà la partecipazione di Relatori di fama internazionale, che presenteranno i più recenti studi sul ruolo della sintonizzazione emotivo-relazionale e sulla relazione dell’individuo con il proprio Sé, analizzandone sia le implicazioni in termini di ricerca che le applicazioni terapeutiche. A questo proposito, il concetto di intersoggettività – strettamente correlato alla relazione con l’Altro, ma anche a quella con il Sé, considerata uno degli obiettivi centrali del processo di cambiamento terapeutico – sarà particolarmente enfatizzato. Inoltre, saranno analizzati diversi approcci di trattamento e una serie di ipotesi sul funzionamento delle mente basati su e validati da fondamenti neuroscientifci. Diverse presentazioni saranno incentrate, infne, sul ruolo del riconoscimento allo specchio, un elemento chiave per esplorare profondamente la dimensione relazionale del Sé all’interno dei modelli terapeutici più avanzati.
FIDUCIA EPISTEMICA ED ENERGIA LIBERA: UN MODELLO INTEGRATIVO PER LA TERAPIA PSICOLOGICA. A cura di Peter Fonangy
Il modello neuroscientifco probabilmente più infuente degli ultimi cinquant’anni ha origine dal modello dell’energia libera ideato di recente da Friston. Questo modello neuroscientifco computazionale ha permesso a psicoterapeuti e psicopatologi di ampliare la propria comprensione del funzionamento del cervello-mente e di integrarla con modelli fenomenologici e dinamici relativi al disturbo mentale e al suo trattamento. Questa presentazione rappresenta un contributo a questo specifco ambito e metterà in relazione il modello terapeutico basato sulla fducia epistemica con la visione di Friston del neuro-funzionamento, incentrata sul concetto di energia libera. La presentazione riprenderà sia il modello di Friston che quello della fducia epistemica, suggerendo una serie di idee integrative, con l’obiettivo di ispirare una nuova generazione di Ricercatori in quest’ambito.
IL PARADIGMA STILL-FACE E IL PROCESSO DINAMICO DI CREAZIONE DI SIGNIFICATO. A cura di Ed Tronick
L’importanza fondamentale che attribuiamo alla creazione di signifcato rispetto al nsotro rapporto con il mondo umano, quello inanimato e il nostro Sé è ben esemplifcata dal paradigma Still-Face. Le scoperte relative al paradigma del volto immobile mostrano che la creazione di signifcato è un processo dinamico che coinvolge molteplici sistemi: cerebrali, psicobiologici e neurosomatici. Se, da un lato, i signifcati possono essere creati a livello endogeno, dall’altro è possibile afermare che i signifcati vengono più frequentemente co-creati con un Altro, all’interno di uno scambio attivo di informazioni. Tale scambio è caotico e caratterizzato sia da momenti di corrispondenza che di mancata corrispondenza tra signifcati, nonché da processi riparativi. Una creazione di signifcato efcace determina un’espansione della coscienza e consente di creare legami di attaccamento, favorendo lo sviluppo di relazioni, resilienza e fducia. Se, invece, la creazione di signifcato fallisce, la coscienza si restringe e si comprime, generando sfducia e fragilità. Per illustrare tale concettualizzazione, durante la presentazione saranno descritti una serie di studi sugli esseri umani relativi ad aspetti genetici, fsiologici, emotivi, epigenetici e alle interazioni caretaker-bambino o tra adulti. Durante l’intervento saranno mostrati flmati riguardanti l’utilizzo del paradigma del volto immobile nei neonati, nei bambini e negli adulti.
SPECCHI PER L’ANIMA: LA RAPPRESENTAZIONE DEL PROPRIO VOLTO E IL RISPECCHIAMENTO SOCIALE. A cura di Harry Farmer
La capacità di riconoscere accuratamente la propria faccia è stata ritenuta per molto tempo uno degli indicatori chiave di un livello di coscienza superiore. Le ricerche più recenti ci hanno permesso di comprendere maggiormente il contributo dato dall’integrazione delle informazioni provenienti da numerosi canali sensoriali diversi (tra cui la vista, il tatto e i sensi interni della propriocezione e dell’interocezione) rispetto alla rappresentazione del proprio volto. Inoltre, gli studi nell’ambito delle neuroscienze sociali hanno mostrato che, per quanto riguarda lo sviluppo di risposte empatiche e della capacità di prospettiva, un ruolo importante è svolto dalla mappatura delle azioni e delle espressioni facciali degli altri, nonché delle esperienze relative al contatto e al dolore, attraverso i nostri sistemi sensoriali (rispecchiamento). In questo intervento, il Dott. Farmer attingerà alla ricerca relativa alle neuroscienze cognitive per illustrare in che modo la percezione del proprio volta infuenza – ed è infuenzata da – le interazioni sociali con gli altri. Per prima cosa, saranno presentate le evidenze che dimostrano quanto il rispecchiamento degli altri, a livello tattile e motorio, possa determinare un aumento della somiglianza facciale percepita, nonché un maggior senso di afliazione e di fducia. Successivamente, saranno descritte le ricerche che evidenziano il funzionamento in senso inverso di questa stessa relazione: comportamenti afdabili e una maggiore afliazione sociale modulano le risposte dei sistemi di rispecchiamento, sia a livello tattile che motorio. Infne, sarà presentato un lavoro più recente che esamina il modo in cui le interruzioni del senso del Sé in condizioni di depersonalizzazione determinano un mancato rispecchiamento sia a livello tattile che motorio.
SUPERARE LA SOLITUDINE, SENTIRSI VISTI ED ELABORARE L’ESPERIENZA RELAZIONALE IN MODO ESPERIENZIALE: L’EMERGERE DI UNA NUOVA ENERGIA VITALE E DEL SÉ PROFONDO. A cura di Diana Fosha
Attaccamento e intersoggettività non sono soltanto processi che operano in sottofondo, facendo le loro potenti magie in silenzio; costituiscono anche importanti esperienze relazionali che – se messe al centro di un lavoro esplicito ed esperienziale – possono rivelarsi trasformative. Questa presentazione analizzerà il potere del superamento della solitudine e dell’elaborazione esplicita ed esperienziale delle esperienze relazionali profonde, sia di natura traumatica che riparativa. La AEDP ha messo a punto una serie di potenti tecniche di elaborazione relazionale che consentono di lavorare, in modo esperienziale, con le esperienze relazionali emergenti, correttive e trasformative. Diana Fosha esplorerà il ruolo essenziale delle emozioni relazionali positive all’interno del processo di cambiamento, emozioni che rappresentano una parte integrante del lavoro terapeutico con le esperienze emotive dolorose e travolgenti associate al trauma da attaccamento. Grazie alla AEDP, è stata identifcata e descritta una fenomenologia di esperienze afettive positive, tra cui gli stati afettivi di guarigione, quelli relazionali associati al “noi” e lo stato profondo (core state), che indica l’attività dei processi relazionali trasformativi di guarigione. Diana Fosha illustrerà in che modo – attraverso il monitoraggio momento per momento delle esperienze di origine corporea e la regolazione afettiva diadica, all’interno di un contesto relazionale in cui la persona si sente al sicuro e riconosciuta – il superamento della solitudine e l’elaborazione esperienziale dei vissuti relazionali profondi, associati sia al trauma relazionale che alle esperienze riparative correttive, permettono di: (1) riparare il trauma relazionale; (2) liberare il Sé profondo, pienamente funzionante, del paziente; (3) raggiungere uno stato di benessere ricco di energia (es. esperienze profondamente positive relative a vitalità, connessione, speranza, fede, chiarezza, senso di agenzia, semplicità, compassione, gioia e verità). A questo proposito, è essenziale focalizzarsi sull’elaborazione esperienziale della trasformazione curativa all’interno di una diade curativa.
GUARIRE L’ATTACCAMENTO INSICURO IN PSICOTERAPIA CON L’AIUTO DI FIGURE GENITORIALI IDEALI IMMAGINATE. A cura di David S. Elliott
I trattamenti più efcaci per l’attaccamento insicuro includono il riconoscimento del ruolo essenziale svolto dalla sensazione sentita (felt sense) relativa a uno stato di sintonizzazione empatica con gli altri signifcativi. Come Psicoterapeuti, facciamo del nostro meglio per essere sintonizzati e responsivi, per esprimere e rispecchiare modi di essere che possano aiutare i nostri pazienti a sentirsi protetti e accuditi, visti e riconosciuti, valorizzati e di valore, apprezzati e amati. Nonostante il nostro intervento in tal senso possa risultare molto utile, esistono dei limiti pratici a questa modalità di trattamento: i nostri pazienti con uno stile di attaccamento insicuro presentano dei modelli operativi interni associati a una relazione in qualche modo problematica con i propri genitori durante l’infanzia. Una relazione adulta, nuova e positiva, con uno Psicoterapeuta costituisce senza dubbio un elemento benefco, ma difcilmente potrà sostituirsi o cambiare efcacemente il modello operativo interno problematico. Concepito come uno strumento complementare rispetto alla funzione del terapeuta come “fgura di attaccamento positiva”, l’utilizzo di “fgure genitoriali ideali” può essere inserito all’interno del processo terapeutico fnalizzato al raggiungimento di un attaccamento sicuro. Quando un paziente adulto, nel contesto di una relazione terapeutica in cui si sente sintonizzato e al sicuro, immagina di tornare bambino, di provare le stesse sensazioni dell’infanzia, e di interagire con genitori immaginari che incarnano tutti quei modi di essere e di comportarsi percepiti come “giusti” attraverso i suoi occhi di bambino, il modello operativo interno originale e problematico può essere sostituito da un modello relazionale nuovo, positivo, centrato sull’attaccamento sicuro. Questo approccio è in linea con e integra i principi e le implicazioni della teoria polivagale, del riconsolidamento della memoria e delle Psicoterapie relazionali e orientate al corpo.
MINDFUL INTERBEING MIRROR THERAPY: OLTRE LA GUARIGIONE DAL TRAUMA. A cura di Alessandro Carmelita & Marina Cirio
Il paradigma Still-Face e il meccanismo dei neuroni specchio sono due principi fondamentali della Mindful Interbeing Mirror Therapy (MIMT): entrambi hanno enfatizzato, da un punto di vista scientifco, la dimensione intrinsecamente relazionale dei processi di costruzione del Sé e di creazione di signifcato esistenziale insiti in ogni essere umano. L’utilizzo dello specchio all’interno del setting terapeutico consente di esplorare, sin dalla prima seduta, la relazione del cliente con il proprio Sé; parallelamente, il concetto del “Sé” viene oggettivato come “Altro” con cui il cliente interagisce. Di conseguenza, la dimensione intersoggettiva dell’umanità viene vissuta in modo nuovo, aspetto che contribuisce ad accelerare il processo di cambiamento terapeutico. Basata su un’attivazione consapevole e mirata di specifci circuiti neurobiologici che regolano il riconoscimento dei volti e l’identifcazione delle emozioni relative alle espressioni facciali, la MIMT è un approccio terapeutico efcace, concepito come processo di ricostruzione del Sé. L’obiettivo terapeutico è quello di aiutare il cliente a ricreare un profondo senso di connessione con la propria immagine rifessa allo specchio e sviluppare una nuova autocompassione, superando la vergogna e il disprezzo nei confronti di sé stesso, emozioni tipicamente presenti nei soggetti traumatizzati.
LA NEUROSCIENZA DELLA RESILIENZA. A cura di Linda Graham
“Le radici della resilienza devono essere ricercate nella sensazione sentita (felt sense) di essere presenti, nella mente e nel cuore, di un altro empatico, sintonizzato e dotato di autocontrollo” (Diana Fosha, PhD, Ideatrice AEDP) La resilienza – ossia la capacità di afrontare abilmente le avversità e di riprendersi rapidamente da una delusione, una difcoltà, persino un disastro – è intrinsecamente presente negli esseri umani perché è una caratteristica innata del cervello umano. Il condizionamento delle esperienze di attaccamento precoci è all’origine della capacità della corteccia prefrontale di: (1) regolare (o meno) le risposte corporee, autonomiche ed emotive allo stress, al pericolo e alla minaccia di morte; (2) relazionarsi (o meno) al proprio Sé e agli altri partendo da una posizione di sicurezza, protezione, fducia e risonanza intrapersonale e interpersonale; (3) riconoscere e rifettere sui pattern di risposta, implicitamente codifcati, nei confronti delle sfde e dei momenti di crisi della vita che raforzano (o compromettono) la resilienza. Le esperienze associate a un trauma dello sviluppo complesso determinano ulteriori esperienze di vergogna e disprezzo di sé apparentemente intrattabili che, inevitabilmente, fniscono per far deragliare la resilienza. Il trauma dello sviluppo complesso compromette persino lo sviluppo delle strutture e dei meccanismi cerebrali necessari per ripristinare la capacità di resilienza insita in ogni essere umano, impedendo così alla persona di mettere a punto strategie di coping adattive e fessibili per il futuro. Le moderne neuroscienze hanno permesso di fare chiarezza sugli strumenti centrati sul corpo che, stimolando un’empatia mindful e una connessione sintonizzata, possono essere utilizzati dagli Psicoterapeuti per raforzare l’autoconsapevolezza, l’autocompassione e l’autoaccettazione dei propri pazienti, aiutandoli a guarire dalla vergogna, a re-integrare le parti di sé precedentemente scisse e a smettere di sabotare la base sicura interiore della resilienza. Le moderne neuroscienze hanno consentito, inoltre, di comprendere quali processi di cambiamento cerebrale – come il deconsolidamento/riconsolidamento della memoria – possono essere utilizzati in modo sicuro, efciente ed efcace per ripristinare un’adeguata crescita del cervello, facendo sì che il funzionamento cerebrale non sia più orientato alla negatività, alla reattività e alla chiusura, bensì alla ricettività, all’apertura, all’apprendimento e alla crescita. Attraverso tali processi, i pazienti possono ristabilirsi e accedere a nuovi signifcati e a un senso di scopo più profondo.
IL SÉ TRAUMATIZZATO ALLO SPECCHIO: SUPERARE LA VERGOGNA, IL DISPREZZO DI SÉ E LA DISSOCIAZIONE. A cura di Ruth Lanius
Frasi come “quando mi guardo allo specchio, vedo un mostro” o “quando mi guardo allo specchio, non mi riconosco”, rappresentano la realtà di molti individui che hanno vissuto un trauma dello sviluppo cronico. Il trauma non ha spesso soltanto efetti devastanti sul senso del Sé, ma incide anche sulle relazioni con gli altri, inducendo il soggetto traumatizzato a provare vergogna per la sua stessa esistenza e a sentirsi estraniato dal mondo esterno. Tale senso di vergogna può incidere profondamente sulla capacità di vivere emozioni positive e potrebbe portare il soggetto traumatizzato a non sentirsi meritevole di vivere momenti di gioia, amore e orgoglio, alimentando il disprezzo nei confronti di sé stesso. Inoltre, queste esperienze possono innescare stati severi di iperattivazione o ipoattivazione che, spesso, fniscono per spingere il Sé traumatizzato al di fuori dei confni della fnestra di tolleranza, provocando una dissociazione dell’individuo dal proprio corpo e dal mondo circostante. L’automutilazione è un fenomeno altrettanto comune in quanto è spesso innescata da sentimenti di disgusto e di vergogna nei confronti di sé stessi. Questa presentazione illustrerà una serie di strategie specifche per gestire la vergogna e le relative disfunzioni del Sé, tra cui l’odio nei confronti di sé stessi e l’automutilazione. Saranno descritti alcuni interventi mirati, in grado di aiutare i pazienti a raforzare l’autocompassione, con l’obiettivo di arrivare a un pieno ripristino del senso del Sé. Saranno esaminate, inoltre, le implicazioni relative ai disturbi del Sé trauma-correlati all’interno della cornice terapeutica della Mindful Interbeing Mirror Therapy (MIMT). Infne, saranno analizzati i meccanismi neurobiologici all’origine delle disfunzioni del Sé, dell’incapacità di tollerare le emozioni positive e dell’automutilazione. Al termine dell’intervento, i partecipanti saranno in grado di: (1) descrivere gli efetti di una traumatizzazione a lungo termine sul Sé; (2) identifcare le conseguenze, a livello cognitivo e afettivo, dei disturbi relativi al senso del Sé; (3) identifcare strategie di intervento mirate a ripristinate il senso del Sé e a ridurre gli stati sintomatici; e, infne, (4) descrivere i fondamenti neurobiologici della disfunzione del Sé, della vergogna e dell’automutilazione.
SINTONIZZAZIONE INTENZIONALE: DAI NEURONI SPECCHIO ALL’INTERSOGGETTIVITÀ. A cura di Vittorio Gallese
La scoperta dei neuroni specchio ha svelato i meccanismi neurali che mediano tra la conoscenza esperienziale multi-livello, insita nel nostro corpo, e le certezze implicite rispetto agli altri che, simultaneamente, maturiamo in noi. Questa conoscenza esperienziale, correlata al corpo, ci permette di sintonizzarci con gli altri in modo intenzionale. Tale spazio “noi-centrico” ci consente di comprendere le azioni degli altri, nonché di decodifcare le emozioni e le sensazioni che vivono. Una forma diretta di “comprensione esperienziale” viene raggiunta attraverso il modellamento dei comportamenti altrui sottoforma di esperienze intenzionali, sulla base dell’equivalenza tra ciò che gli altri fanno e sentono e ciò che noi facciamo e sentiamo. Questo meccanismo do modellamento può essere defnito una forma di simulazione incarnata; attraverso la simulazione incarnata, non ci limitiamo a “vedere” un’azione, un’emozione o una sensazione. Parallelamente alla descrizione sensoriale degli stimoli sociali osservati, creiamo delle rappresentazioni interne degli stati corporei associati alle azioni, emozioni e sensazioni evocate nell’osservatore, come se quest’ultimo compiesse un’azione simile o provasse un’emozione/ una sensazione simile. I neuroni specchio sono probabilmente il correlato neurale di tale meccanismo. La classica distinzione netta tra esperienze in prima o in terza persona relative a determinate azioni, emozioni e sensazioni, risulta molto meno marcata se analizzata dalla prospettiva dei meccanismi neurali utilizzati per mappare simili esperienze. Il divario tra i due punti di vista viene, infatti, colmato dal modo in cui la relazione intenzionale viene mappata funzionalmente, a livello neurale, dai meccanismi di rispecchiamento. Attraverso uno stato neurale condiviso – attivo in due corpi diversi, benché soggetti alle stesse regole funzionali – l’“Altro oggettuale” diventa “un altro Sé”.
230 €
Congresso: “Paradigma still-face e neuroni specchio: la neuroscienza della psicoterapia”
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