Dalle ricerche internazionali sul Trauma e sull’Attaccamento risulta evidente come i due siano strettamente correlati tra loro. Il modo con cui il nostro cervello, e noi come persone, reagiamo ad un Trauma, sembra essere collegato al tipo di legame di Attaccamento che abbiamo sviluppato durante la nostra infanzia. Inoltre, risulta che un paziente su tre con diagnosi psichiatrica, provenga da una storia personale traumatica. Basti pensare a pazienti che, a seguito di infanzie traumatiche, sviluppano un Disturbo Borderline di Personalità e/o un Disturbo Dissociativo oltre a presentare memorie traumatiche e dissociate. In un panorama di tale rilievo risulta essere di primaria importanza la conoscenza dettagliata dei meccanismi neurofisiologici, psicologici e relazionali che sottostanno al modo specifico di vivere le esperienze traumatiche. I massimi esperti mondiali si incontrano per esporre gli ultimi sviluppi nell’ambito della conoscenza del Trauma e dell’Attaccamento e della loro relazione. Un congresso unico in una delle capitali più belle del Mondo, costituisce un’occasione speciale per acquisire una conoscenza profonda da chi ha dedicato la propria vita all’esplorazione del funzionamento dell’essere umano. Tutti gli interventi acquistano quindi una fondamentale importanza per chi si occupa di Traumi Psicologici e della cura di persone che hanno, alla base della sofferenza psicologica, esperienze di Traumi anche complessi.
“Impatto del trauma sull’Integrazione neurale”
La presentazione verterà sull’analisi della natura dell’integrazione neurale (il collegamento tra parti differenziate di un sistema) e sull’impatto che il trauma ha sui circuiti integrativi cerebrali. Tra gli esiti di trauma, l’ostacolo allo sviluppo dei principali circuiti integrativi cerebrali: ippocampo, regioni prefrontali e corpo calloso. La funzione integrativa di tali fibre è all’origine della coordinazione e dell’equilibrio necessari per raggiungere l’autoregolazione, la capacità adattiva e flessibile di attenzione, emozione, pensiero, comportamento e relazionalità. Il trauma influisce negativamente su ciascuna di queste funzioni regolatrici dipendenti dall’integrazione. La presentazione rivedrà tali rivelazioni, insieme con le implicazioni del nascente studio sulla regolazione epigenetica dell’espressione genica che pure sembra svolgere un ruolo importante nel retaggio di esperienze traumatiche tanto per l’individuo traumatizzato quanto, apparentemente, per i suoi figli.
“Intervento psicoterapeutico per promuovere l’integrazione neurale e interpersonale dinanzi ad un trauma”
Nella seconda presentazione relativa all’integrazione, indagheremo su come l’ipotesi secondo cui il trauma comporta la compromissione dell’integrazione necessaria per una regolazione efficace, porti a profili di caos o rigidità lungo una varietà di domini interni e interpersonali. È possibile riformulare l’assessment clinico al fine di includere una valutazione di questi estremi di condizioni esterne a quel flusso di armonia che compare in una vita integrata; una valutazione che possa essere impiegata per definire la “insanità” mentale. In questo quadro di neurobiologia interpersonale, una pianificazione terapeutica implicherebbe dunque concentrarsi sui domini di integrazione compromessi in seguito a un trauma, che includono l’integrazione: della coscienza, bilaterale, verticale, della memoria, narrativa, di stato, interpersonale e temporale. Gli interventi terapeutici strategici – all’interno della relazione terapeutica di per sé integrativa – possono allora essere pianificati e attuati per stimolare attivazione e crescita neurale (SNAG, Stimulate Neuronal Activation and Growth) verso l’integrazione.
“Azioni di riconoscimento: Mindfulness Relazionale Integrata (ERM, Embedded Relational Mindfulness), movimento, e riparazione diadica di trauma e fallimento dell’attaccamento”
Le persone ricordano il passato sotto forma di previsioni e aspettative inconsce, che sono le più potenti: non è infatti possibile riflettere sui ricordi che le hanno plasmate, o revisionare gli stessi. Fare esclusivo affidamento sulla “talking cure”, potrebbe limitare l’efficacia clinica, giacché i pazienti non possono esaminare ricordi non esplicitamente codificati. Rispetto a conversare e discutere sui problemi attuali, privilegiare la consapevolezza mindful dell’esperienza -momento per momento- di aspettative implicitamente codificate, può chiaramente rivelare i pattern interni e inconsci di organizzazione che sottostanno alle difficoltà correnti del paziente; in questo modo, è possibile affrontare direttamente gli stessi pattern. Numerosi metodi psicoterapeutici sono stati sviluppatiche per insegnare la Mindfulness attraverso esercizi strutturati, pratica solitaria, e insieme di abilità specifiche. Nella Psicoterapia sensomotoria, tuttavia, la Mindfulness è integrata e incorporata in ciò che emerge -momento per momento- tra terapeuta e paziente. Avendo luogo all’interno di una diade terapeutica sintonizzata, la Mindfulness relazionale integrata è impiegata per attivare non solo l’esperienza di fallimento dell’attaccamento e traumi irrisolti che i pazienti rivivono nel momento presente, ma anche la loro relazione esperienziale nel qui e ora con i terapeuti. Tale evocazione simultanea di ferite passate e impegno sociale tra paziente e terapeuta, unita a un’attenzione al corpo quale fonte primaria d’azione terapeutica, può suscitare un’intensa intersoggettività che potenzia le azioni di riconoscimento nella riparazione – effettuata dalla diade – di trauma e fallimento dell’attaccamento. Attingendo da Teoria polivagale, Teoria della Regolazione affettiva e principi sulla neurobiologia interpersonale, questa presentazione offre una pratica visione d’insieme delle competenze cliniche necessarie per la Mindfulness relazionale integrata. Grazie al chiarimento delle azioni fisiche caratteristiche tanto dell’attaccamento quanto della difesa, i partecipanti apprenderanno gli interventi volti a riconoscere gesti, movimenti e posture che riflettono e mantengono l’impatto deleterio che trauma e fallimento dell’attaccamento hanno sulla realtà attuale del paziente, e a lavorare con gli stessi. Attraverso spezzoni video di sedute terapeutiche, e brevi esercizi esperienziali, si illustreranno interventi terapeutici per bambini, adolescenti e adulti.
“I modelli relazionali alternativi per la psicoterapia “Informata” sul trauma. Oltre il paradigma dell’attaccamento genitori-figli”
Di frequente, con soggetti traumatizzati, i terapeuti vivono un serio dilemma. Da una parte, si indica l’attaccamento sicuro come la componente più indispensabile in una terapia di successo, dando ai clienti un’opportunità di riparazione della relazione. Ci viene insegnato quindi a sviluppare un attaccamento da cui i clienti diventano dipendenti in quanto a prevedibilità e coerente riparazione, un ponte sano per un attaccamento sicuro meritato. Dall’altra, bisogni di dipendenza insoddisfatti e pattern di attaccamento insicuro dei pazienti possono deviare la terapia. Ci viene insegnato dunque a impedire che i clienti diventino “troppo” dipendenti da noi. I nostri impliciti sistemi di credenze su attaccamento e dipendenza, nonché traumi relazionali non elaborati, possono svolgere un ruolo importante nel mantenimento di posizioni estremamente distanti o di accudimento. In maniera implicita o esplicita, gran parte della letteratura tratta della relazione terapeutica nel contesto del modello di attaccamento genitori-figli, nel quale i clienti si affidano tranquillamente all’attaccamento sicuro dei terapeuti per sostenere la riparazione dello sviluppo. Nello stabilire un rapporto con i propri clienti, e nell’assisterli a relazionarsi internamente con le rispettive parti dissociative, i terapeuti ricorrono spesso implicitamente al modello genitori-figli. È questo l’unico o più efficace metodo per aiutare i clienti a sviluppare sicuri modelli operativi interni? Esamineremo vantaggi e svantaggi di tale approccio. In seguito, indagheremo su altri possibili modelli relazionali, come: mentore-allievo, membri adulti di un team, e co-leaders. Questi evidenziano libertà pratica e collaborazione di entrambe le parti coinvolte, focalizzate su obiettivi specifici e reciproci. Tali modelli si basano su relazioni adulte caratterizzate da reciprocità, che possono liberare i terapeuti dall’onere eccessivo del “prendersi cura” dei clienti e dal violare quadro e limiti di un trattamento utile, rimanendo nel contempo profondamente connessi ai soggetti trattati. Risalto verrà dato alle implicazioni del trattamento.
“La teoria polivagale: demistificare le risposte corporee al trauma”
Le risposte degli esseri umani a trauma e abuso sono devastanti e compromettono il successivo comportamento sociale e la regolazione emotiva. Comprendere i meccanismi sottostanti le risposte “cablate” al pericolo di vita, potrebbe rendere più chiare tali conseguenze debilitanti. La Teoria Polivagale offre una spiegazione plausibile su come esperienze traumatiche e abuso cronico alterino i processi omeostatici fisiologici e il comportamento sociale; su come si potrebbero studiare trattamenti clinici per rimediare a tali problemi; e su come poi il trauma distorca la percezione e sostituisca comportamenti sociali spontanei con reazioni difensive. La presentazione sarà centrata sul potere riparativo posseduto dalla comprensione della funzione adattiva delle reazioni allo stress, quale importante complemento al trattamento. Scomponendo le caratteristiche biocomportamentali delle reazioni allo stress, cliente e terapeuta sono entrambi meglio informati nel loro tragitto verso un risultato positivo. La presentazione darà risalto al ruolo del “neuroception”, un processo neurofisiologico attraverso il quale il sistema nervoso valuta il rischio presente nell’ambiente circostante senza consapevolezza e, spesso, indipendentemente da una narrazione cognitiva. È possibile che, per proteggerci dagli altri, i traumi azzerino il neuroception quando non esiste un pericolo “reale”. La presentazione informerà i terapeuti sui metodi per valutare le conseguenze deleterie delle esperienze correlate a traumi – mediante una comprensione degli aspetti adattivi psicologici, comportamentali e della salute appartenenti a ciascuna delle tre strategie di risposte viscerali “polivagali” (vale a dire, comunicazione sociale, mobilizzazione, immobilità) – e su come interventi terapeutici efficaci favoriscano un neuroception della sicurezza, con i conseguenti miglioramenti nella salute mentale e fisica, permettendo a mobilizzazione e immobilità di aver luogo senza timore.
“Un cambio di paradigma nell’approccio terapeutico alla messa in atto (enactment)”
Secondo i recenti modelli relazionale e neuropsicoanalitico, un enactment reciproco è un’esplosione di un affetto potente e travolgente che avviene a livello inconscio all’interno della relazione terapeutica co-costruita, e rappresenta un meccanismo relazionale per penetrare nelle aree traumatizzate della mente inconscia. Nella prospettiva neurobiologica interpersonale della Teoria della Regolazione, gli enactment riproducono la disregolazione del cervello destro associata alla rivisitazione di “traumi relazionali” dell’attaccamento precoce; essi consentono tuttavia anche un accesso terapeutico alla conoscenza di affetti dolorosi inconsci e dissociati cui è stato precluso l’accesso alla coscienza e alla consapevolezza soggettiva. Facendo riferimento tanto ai recenti progressi clinici quanto alla ricerca in ambito neurobiologico, la presentazione indica che sebbene l’enactment reciproco costituisca il contesto intersoggettivo più stressante del trattamento, la regolazione interattiva delle messe in atto può agevolare l’integrazione “top-down” e “bottom-up” del sistema corticale e sottocorticale dell’emisfero destro del paziente e, con ciò, un’espansione del suo cervello emotivo lateralizzato a destra, il substrato biologico dell’inconscio umano.
“Trauma e attaccamento: Il contrIbuto della terapIa emdr”
La EMDR si è dimostrata efficace nel trattamento del DPTS cronico e di ricordi di traumi passati che è possibile stiano alla base della maggioranza dei disturbi mentali. Obiettivo del trattamento con EMDR è far fronte a problemi passati, presenti e futuri correlati a eventi traumatici, al fine di rielaborarli. Una volta che questi sono stati desensitizzati e rielaborati, emerge generalmente una remissione significativa dei sintomi post-traumatici. Oltre a ciò, i clienti riferiscono cambiamenti comportamentali e crescita post-traumatica. Ambito promettente del trattamento con EMDR è la sua applicazione con popolazioni esposte a trascuratezza e trauma interpersonale in età infantile. In base a ricerche scientifiche e numerosi studi clinici randomizzati, la terapia con EMDR può essere efficace non solo per gli eventi traumatici inclusi nel criterio “A”, ma anche per “traumi relazionali precoci”. Conformemente ai concetti di Modello Operativo Interno (MOI) e Modello dell’Elaborazione Adattiva dell’Informazione, è possibile che credenze negative, emozioni e sensazioni connesse allo stress cronico associato a esperienze di violenza domestica, abuso fisico, sessuale o psicologico, nonché rifiuto e trascuratezza, vengano immagazzinati nelle reti neurali della memoria in maniera disfunzionale; possono inoltre contribuire al disturbo mentale. Nel corso della presentazione, si mostreranno i risultati di uno studio che ha esplorato il ruolo della EMDR nei MOI dell’attaccamento. Una volta che le esperienze traumatiche avvenute in passato con le figure di attaccamento sono state processate con la EMDR, coerenza e capacità riflessiva aumentano in misura significativa con rispetto alle rappresentazioni dell’attaccamento. Allo studio clinico parteciparono venti pazienti adulti che soddisfacevano i criteri del DSM-IV solamente con rispetto ai disturbi di Asse I e che avevano richiesto trattamento terapeutico per problemi di genitorialità e relazionali. Dai risultati è emerso che il trattamento con EMDR ha ridotto significativamente la mancanza della risoluzione di perdita e trauma: tutti gli stati di attaccamento dei pazienti passarono da fondamentalmente irrisolti alle altre classificazioni. Inoltre, ci fu un incremento significativo del livello di coerenza narrativa e del punteggio ottenuto nella Scala del Funzionamento Riflessivo (Reflective Functioning Scale).
“Interazioni fra attaccamento disorganizzato precoce e trauma psicologico successivo nella genesi delle patologie dissociative”
Due studi longitudinali prospettici suggeriscono che l’attaccamento disorganizzato nel primo anno di vita predice la dissociazione, nel corso dello sviluppo della personalità, più delle memorie di traumi successivi. La spiegazione di questi sorprendenti dati di ricerca potrebbe essere trovata nell’interazione fra due sistemi comportamentali (sistemi motivazionali) frutto dell’evoluzione e dunque a base innata: il sistema di attaccamento e il sistema di difesa (congelamento-attacco-fuga-finta morte). La normale interazione fra i due sistemi è spiegata alla luce delle originarie concettualizzazioni di Bowlby, e della Teoria Polivagale. La Dissociazione può essere concettualizzata non come una diretta risposta al trauma, ma come il risultato della mancata inibizione del sistema di difesa da parte del sistema di attaccamento una volta che l’evento traumatico sia terminato. Nell’attaccamento disorganizzato della prima infanzia il sistema di difesa può essere attivato non solo da esperienze evidentemente traumatiche, ma anche dalla mancata risposta del caregiver al pianto del bambino, come negli esperimenti di still face (immobilità del volto). Per la migliore comprensione delle conseguenze cliniche di questo modo di concettualizzare la dissociazione, verrà presentata una teoria multi-motivazionale che considera la gerarchia dei principali sistemi comportamentali (motivazionali), oltre al sistema di attaccamento e al sistema di difesa, di cui l’evoluzione ha dotato ogni essere umano. La principale conseguenza clinica su sui ci si soffermerà, è il ruolo del sistema motivazionale cooperativo nel corso della psicoterapia dei pazienti con attaccamento disorganizzato e storie di trauma complesso.
“Neuroni Specchio, simulazione incarnata e approccio relazionale in seconda persona alla cognizione sociale. Un nuovo punto di vista sull’Intersoggettività”.
La scoperta dei meccanismi dei Neuroni Specchio in relazione ad azioni, emozioni e sensazioni ha condotto a un approccio incarnato alla simulazione: poggiando su basi empiriche, la Simulazione Incarnata offre una nuova nozione di intersoggettività, considerata prima di tutto come intercorporeità. La simulazione mette in discussione la nozione che la Folk Psychology (Psicologia del senso comune) basti da sola a spiegare la comprensione interpersonale. Prima e al di là della “lettura della mente”, l’intercorporeità è fonte principale della conoscenza che acquisiamo direttamente sugli altri. Mediante la simulazione non ci limitiamo a “vedere” azioni, emozioni o sensazioni e poi a capirle con inferenze per analogia. Attraverso la simulazione possiamo mappare le azioni altrui riutilizzando le nostre rappresentazioni motorie, nonché le emozioni e sensazioni altrui tramite il riuso delle nostre rappresentazioni viscero-motorie e somato-sensoriali. La simulazione incarnata spiega in una maniera originale e unitaria gli aspetti fondamentali dell’intersoggettività, dimostrando quanto comprendere il corpo vivente in azione degli altri abbia le sue radici nel potere di riutilizzare le proprie risorse motorie, emozionali e somato-sensoriali. Si metterà in discussione la nozione in base alla quale un approccio teorico agli altri di tipo metarappresentazionale sia la sola/principale chiave per l’intersoggettività, e si proporrà un approccio in seconda persona. Si esamineranno poi alcune implicazioni di questo modello per il rapporto tra trauma, e riconoscimento e regolazione delle emozioni.
150 €
Congresso Attaccamento e Trauma – Prima edizione 2014
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